La cosa veramente strepitosa delle fiere di moda come Super, è che incontri i designer e talenti emergenti nei loro stand, ci parli, ci passi anche una buona mezz’ora e non devi affrontare una falange di pr, addetti alla sicurezza e vari soggetti alle soglie del backstage per farti raccontare che cosa c’è dietro le loro creazioni. Sono tutti lì, attenti e generosi, ad eccezione di alcuni attratti dalle seduzioni di Milano durante la Fashion Week e i brunch domenicali.
1. Ibeliev è un marchio made in Madagascar; il fondatore Liv Ramanandraibe, conosciuto per ovvi motivi solo come Liv, è arrivato in Francia a 16 anni, ha studiato finanza, lavorato da impiegato e realizzato che voleva fare cose migliori per il suo paese e per se. L’azienda, che produce borse e accessori di paglia fatti a mano, è partita con 5 lavoranti e oggi sono 350. Nel posto di lavoro c’è la chiesa (per andare a messa la mattina), l’asilo per i bambini e una mensa dove mangiare tutti insieme. I cappelli e le borse, dal gusto minimal e tutte fatte a mano, sono confezionati in tanti giorni di lavoro. E stanno bene a Capri, Sani Barth e pure il Salento, và. www.ibeliv.fr
2.Il tufo rosa è la pietra con cui è costruita la città di Yerevan in Armenia e in omaggio a questo colore, e alle sue origini, è nata la capsule del marchio Loom Weaving (telaio) che appunto fa maglie lavorate a mano o in antichi telai ma mai in macchine industriali. Le lavorazioni sono importanti e i volumi anche, la morbidezza al tocco mitiga l’effetto strutturale dei cardigan e dei pullover. La designer e Ceo Inga Manukyan si fa tradurre dal vicino di stand (Armeno anche lui) le nostre domande. Ripetute più volte al momento di verificare i prezzi (circa 300 euro) nei negozi. Poco, per un prodotto così bello.
3.La tela delle vele, nuova, crepita. Fa un rumore simile alla carta plastificata (in effetti è tela plastificata) e questo, oltre alle componenti tratte tutte dalla marineria (grilli come giunti, cime come manici) fa parte del fascino della collezione di borse di Tela Vela, il brand di quattro amiche di La Spezia con cui chiacchiero a lungo. Fanno tutto in zona, e, ammettono, vanno tutte in barca (nella zona per andare al mare non si può fate altrimenti). La borsa Pacha olona è realizzata in tela olona spalmata, canapa color grezzo originariamente utilizzata per le vele delle barche d’epoca, come la nave scuola Vespucci. www.cabbdesign.com
4. La designer bella come una modella Loza Maleombho (cresciuta tra Stati Uniti e Costa d’Avorio e dove ha sede la produzione) propone giacche costruite e e molto femminili in juta quella dei sacchetti del caffè (foderate di cotone a quadretti Vichy perché non prudano troppo). www.lozamaleombho.com.
5. Per sovvertire la consuetudine che il ventaglio sia un accessorio da vecchia signora, per quanto utilissimo (presente l’afa dell’estate scorsa?), Olivier Bernoux ne ha ripulito il design e aggiunto qualche tema imprevisto, come quello erotico (per raffreddare i bollenti spiriti, da qui il nome della collezione: armi di seduzione di massa), più dettagli punk (le borchie) o la catenella per portarlo come una tracolla.
6. Bookrah fa gioielli secondo la tradizione del quartiere orafo armeno di Beirut, dal 1970 cuore dall’artigianato orafo della città. Questo “distretto” dalle competenze tanto preziose e rare è stato selezionato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, UNIDO, per essere sostenuta e promossa, proprio a eventi come Super, con l’iniziativa chiamata Creative Lebanon, dall’eloquente sottotitolo Resilience through Creativity. Orecchini, anelli, bracciali e pendenti con lavorazioni di gran finezza, con una fitta rete di fili e pietre che ricordano proprio le strade fitte del quartiere degli orafi di Beirut. Gli anelli hanno le pietre posizionate in modo da potersi combinare con altri anelli e creare dei cluster. Lo smalto blu è la sfumature di Faby Ego Collection (modestamente…)
7. Michele Chiocciolini fa clutch in pelle con elementi pop (il cane qui a lato è anche il suo logo) ma anche in materiale ecologico, come il Clarino Crust prodotto dalla giapponese kuraray, una pelle sintetica conciata senza solventi in modo da essere davvero sostenibile. Colori degli intarsi possono essere scelti dal cliente in modo da personalizzare la borsa. Fatto in Toscana.
8. Aaks. Akosua Afriyie-Kumi ha studiato design a Londra, poi è tornata – quasi per sfidare la sorte – in Ghana dove produce la sua collezione di borse e tracollino di rafia che stanno andando benissimo quasi che ancora non ci crede. La best seller è un secchiello in paglia giallo banana. Da avere. www.aaksonline.com
9. Premesse. “Un mix di Versace, John Galliano e Vivienne Westwood”. Lo dice lui, Jiri Kalfar da Praga, ex ballerino (con Carla Fracci a Roma) ex modello, ora designer. Conosce l’anatomia, il movimento e il teatro. Risultato: la collezione dedicata alle api per la SS18, in nero e oro (è partito anche il dibattito se la canzone dell’Ape Maia fosse stata cantata in tutte le lingue dalla versione originale in ceco), e con anatomia da ape regina (vita di vespa e gli ampi fianchi). Una forza della Natura. www.jirikalfar.com
10. Infine le maniglie lavorate e sbalzate di Moez street, nella città vecchia del Cairo, hanno ispirato la collezione Soul Handles di Okhtein. Il marchio è stato fondato dalle due sorelle Aya and Mounaz Abdelraouf (Okhtein significa proprio sorelle) con l’intento di far rinascere un artigianato di lusso, e preservarne le tradizioni. Non vi sto a dire che sono già vendute nei migliori store del mondo, sono bellissime!! www.okhtein.com
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