Si scrive “Queen’s Diamond Jubilee”. Si legge: Festa. Festa imperativa e collettiva per i sessant’anni di regno di Sua Maestà, dal 2 al 5 giugno prossimi. Eventi su eventi in London Town: in calendario, anche una bella crociera in battello sul Tamigi insieme a un migliaio di velieri e altre barchette (il 3), concertone pop davanti a Buckingham Palace (il 4) per la regia del già Take That Gary Barlow, autore con un altro musicista di nicchia, Andrew Lloyd Webber-quello di “Jesus Christ Superstar” per intenderci- di “Sing”, la canzone commemorativa della ricorrenza reale (ricorrenza: da ricordare. Canzone: meglio dimenticare, forse. C’è anche il Principe Harry al tamburello).
Delirio collettivo? Sì. Consapevole e gioioso. Perché i britannici Ma’am (a The Queen ci si rivolge così, dice il galateo) la amano proprio, mai come adesso. Anche quelli che non ti aspetti. Soprattutto quelli che non ti aspetti. Una a caso? Tracey Emin. Professione: artista ribelle; una che è riuscita a scandalizzare anche quelli della Tate Gallery, che alle stranezze sono piuttosto abituati, una che ha fatto dell’irriverenza un modo di essere, pensare e creare. Bene: la stessa persona è una royalist estrema. Perché? Semplice: a suo dire The Queen è un qualcosa di unico, l’austerità non le appartiene più di tanto, il senso dell’umorismo sì. E se c’è un simbolo del Regno Unito, non può essere che lei. Se questo non è amore.
Ma cosa c’è di glamour in tutto ciò, a meno di non trovare prepotentemte cool la royal oggettistica in cui i britannici sanno esprimersi come pochi? Tipo:teiera o tea towel- per la plebe: strofinacci- set da rammendo, piatti e piattini di ogni foggia, anche la più terrificante, shopping bag assortite, tutti con rigorosa bandiera UK, Elisabetta con corona e sorriso e magari un bel cuore che quello ci sta sempre?
Impossibile fare un inventario. Ma il Jubilee non è solo delizioso ciarpame reale (a cui tra l’altro, regnanti ed eredi al trono sembrano predestinati. Della serie: la vuoi la corona? Avrai la tua faccia collocata a imperitura memoria su calamite e cucchiaini di vero finto argento: vedi tu.) Il Jubilee è anche che Alexander Mc Queen rivisita con la Union Jack la classica clutch rigida: ed è subito must have. Il Jubilee è che, per Harrod’s, l’esclusivissimo Bond n.9 da NY si sposta in UK giusto il tempo di realizzare una fragranza celebrativa, perché bisogna pur celebrare, a base di arancia, tuberosa, rosa, sandalo. E questa volta ci finisce Buckingham Palace sulla confezione a stella di Bond, al servizio di Sua Maestà. Ma non solo. Il Jubilee è anche che Dame Vivienne Westwood, quella del punk, quella che non può dirsi esattamente una fervente monarchica, regala al mondo fashion una capsule collecition special edition, reinterpretando, fortunatamente a modo suo, abiti in passato indossati da The Queen e, già che c’era, anche la Union Jack.
Non sarà una royalist, ma in fatto di style, Vivienne non ha dubbi. In Gran Bretagna, oggi, c’è una sola donna con un vero stile, inteso come espressione di personalità e carattere e non di omologazione. E si chiama Elisabeth. Non Hurley.
God Save The Queen. Ora e sempre.
Ps Dal manuale “Come sapersi fare amare dai propri sudditi, anche quelli che non ti amano”. Regalare due giorni di vacanza a inizio giugno. E’inutile. Ci sa fare, Ma’am.
Pps Dal manuale “Dove vedere molte cose belle e pure tutte insieme”. Un classico: Selfridge’s, Oxford Street. Le Jubilee vetrine sono da perderci la testa. Per fortuna di fronte ci sono le panchine, per mancamenti o per godersi meglio lo spettacolo. E’ inutile. Ci sanno fare.
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